Sartoria Caraceni, una storia di eccellenza italiana
Una storia di eccellenza italiana. È quella della Sartoria Caraceni, atelier rinomato e apprezzato in tutto il mondo, con una lunga e prestigiosa tradizione alle spalle. Siamo andati a trovare il titolare, Carlo Andreacchio, sarto di fama internazionale, apprezzato particolarmente per il suo gusto raffinato e la sua attività costantemente volta alla difesa della qualità artigianale italiana.
Insieme a Carlo ci siamo tuffati nell’eccellenza italiana. Ma cos’è, per Carlo Andreacchio, l’eccellenza? “L’eccellenza è qualcosa che non si può descrivere a parole– dice-. È una qualità che si raggiunge soltanto partendo dal sacrificio. A maggior ragione, nel campo della sartoria: un ambito, questo, nel quale nulla è scontato: devi continuare a lottare, sei sotto esame in ogni momento”. La soddisfazione con cui però poi sei ripagato è davvero incommensurabile. “Il cliente si affida completamente a te. Devi creare per lui un abito che possa indossare senza problemi, in ogni occasione. I nostri clienti ricoprono tutti posizioni di rilievo: quando si trovano in un cda o in un congresso non devono certo pensare all’abito, ma solo a quel che devono dire o fare. Questo è eccellenza: dare un servizio a trecentosessanta gradi”.
Entrare nella Sartoria Caraceni è un’esperienza che lascia un segno. Ogni angolo trasuda di storia e di quell’eleganza prestigiosa che solo in pochi possono vantare. “Tutto dipende da come tratti un cliente, dalla tua gentilezza, dal tuo modo di accoglierlo. Il cliente, quando arriva qui– sottolinea- si mette a nudo, sia in senso fisico che, soprattutto, psicologico. Da un certo punto di vista potrei dire che il cliente qui perde la sua sicurezza perché si sente in soggezione”. E la bravura sta proprio qui, nel metterlo a proprio agio, nel renderlo più sicuro e più bello. “Tutti i nostri clienti hanno sempre apprezzato il nostro modo di fare: oltre a essere un buon sarto, devi saperci fare con il cliente”. L’eccellenza è anche questo.
La nostra conversazione si sposta quindi sulla sartoria italiana in generale. “Un unicum nel mondo– afferma Carlo- perché noi italiani abbiamo sempre tenuto alto il vessillo della tradizione, non abbiamo mai cercato di sovvertire questa tradizione. Oggi si parla tanto di intelligenza artificiale: ecco, ai giorni nostri un computer ti può fare la scansione del corpo e crearti un abito su misura”. Ma non è così che nascono i capolavori. “Serve l’occhio, il cliente va toccato, “sentito”. Tutte cose che un computer non può fare”. Non si diventa sarti per caso. La storia di Carlo ce lo insegna. “Il desiderio di fare il sarto ce l’ho dentro da sempre, sin da quando ero un bambino. Ma i miei genitori mi ostacolavano in tutti i modi. Allora io tagliavo e cucivo di nascosto, andavo nelle botteghe a tenere acceso il ferro a carbone. Respiro l’aria della sartoria e la conoscenza dei tessuti da sempre”. Ecco come si crea, dunque, l’eccellenza. “Noi italiani siamo molto forti, abbiamo l’estro, la voglia, la caparbietà di fare e di andare avanti. L’eccellenza italiana è destinata proseguire la sua storia nel tempo, l’importante è seguire sempre la tradizione”.
Come integrare innovazione e tradizione nella sartoria? “È molto difficile, perché il nostro lavoro implica l’uso della testa e delle mani, degli occhi…. Ecco, sono proprio le nostre mani che devono “sentire”. Come si può sostituire tutto questo? Certo, noi dobbiamo avvicinarci al futuro, ma lo dobbiamo fare seguendo la nostra strada, non quella degli altri. Oggi le scuole sartoriali forse insegnano troppo sul versante delle nuove tecnologie e poco su quello artigianale. Ma l’eccellenza si fa proprio qui, sul versante artigianale”.
Spostandoci da una stanza all’altra della Sartoria Caraceni, si incontrano molti giovani. “Noi abbiamo una trentina di dipendenti– dice Carlo-. Sono tutti molto giovani. Da noi arrivano quotidianamente ragazzi a lasciare il curriculum: io li accolgo tutti, parlo insieme a loro. Il problema, oggi, è che molti giovani vogliono fare pochi sacrifici. Il sacrificio è rinuncia, noi abbiamo li dovere di dare a questi ragazzi l’esempio”. La scuola, certo, da questo punto di vista è fondamentale. “Un tempo c’erano almeno una o due ore a settimana di laboratorio. Oggi è molto importante che qualcuno vada a parlare a questi giovani: se i ragazzi sentono un sarto parlare con trasporto della sua professione si entusiasmano. Mi viene in mente quando raccontai che le mie mani avevano addirittura toccato Eugenio Montale… un’esperienza indimenticabile. E questo, i ragazzi, lo sentono. È poi molto importante insegnare loro che non devono mai montarsi la testa: ogni giorno qui sei sotto esame, non ci si deve mai sentire arrivati. Io non mi fermo mai, se posso sperimento: ecco, per me l’innovazione sta qui”.
Massimiliano, figlio di Carlo e Rita Maria, lavora qui in Sartoria ed è il miglior esempio, insieme alla sorella Valentina (che lavora nell’amministrazione), di nuova generazione all’opera. Anche lui respira l’aria della sartoria da quando era un ragazzino. Oggi, a 38 anni, riceve i clienti più importanti, e porta avanti la famosa tradizione del “taglio caraceniano”. “Un uovo di colombo– dice, sorridendo, Carlo-. “Il taglio alla Caraceni è un segreto che si tramanda di generazione in generazione, e Massimiliano è cresciuto custodendo anch’egli questo segreto. Soltanto una persona per generazione può conoscerlo. Si tratta di un taglio che rende la linea Caraceni unica al mondo, dalle spalle fino al busto. Tutto viene costruito partendo da questo modello”.
Ecco il genio. Un segreto che arriva direttamente dal fondatore della Sartoria, Augusto Caraceni: in tanti hanno studiato e cercato di copiare questo taglio, ma senza successo. “È lo stesso motivo per cui non è possibile copiare la genialità italiana– sottolinea Carlo-. L’eccellenza che abbiamo in Italia non ce l’ha nessuno. In tantissimi cercano di imitarci, di colpirci da tutte le parti, le leggi e le tasse sono a nostro sfavore: ciononostante, noi lottiamo contro tutto e contro tutti, portando in alto la nostra genialità. Noi non ci fermiamo mai”. E la mente vola a quello “stato di grazia” che è la creazione. Tecnicamente, quello che viene definito “stato di flow”. “A me capita spesso di entrare in questa sorta di “trance”– afferma Carlo-. Quando ho un modello importante da creare, mi metto da solo, mi immedesimo nel cliente, vedo il modello addosso a quel cliente. Lo guardo…. Sì, mi soffermo anche più di mezzora a guardarlo, perché devo entrare completamente nella creazione. Poi, a un certo punto, mi “sveglio” da questo stato, e sono felice, convinto e soddisfatto per quello che ho fatto. Sono felice”.
Alla base del lavoro di Carlo ci sono solidi valori. “Innanzitutto, l’umiltà– sottolinea-. A partire dal modo con cui tratti i dipendenti. Non si può dare ordini soltanto, non funziona così. Ai dipendenti devi far passare prima il senso di responsabilità, poi la conoscenza. E parlo di una conoscenza in vari ambiti, non soltanto in quello della sartoria. Quando entra un cliente devi essere aggiornato, devi saper parlare di un po’ di tutto, perché ogni cliente ha il suo mondo. E tu devi fare di tutto per metterlo a proprio agio”. Cosa che Carlo sa fare magistralmente. Pensando poi al modello di riferimento, la mente e il cuore non possono che andare al grandissimo Mario Caraceni. Padre di Rita Maria, moglie di Carlo, Mario Caraceni è da sempre un’icona nella sartoria italiana. “Mario era un uomo straordinario– dice Carlo-. Nonostante la sua apparente durezza, Mario non era affatto una persona dura. Anzi. Sapeva dirti le cose in una maniera così efficace che tu riuscivi immediatamente a capire tutto quanto voleva trasmetterti. Mario mi ha insegnato tanto, soprattutto nel modo di vivere”.
Un pensiero, infine, alla sartoria del futuro. “Se i sarti apporteranno alcuni cambiamenti al loro modo di pensare e di agire, il nostro settore avrà certamente uno sviluppo incredibile. Bisogna portare avanti il lavoro sempre più in modo artigianale anziché a macchina. Questo è il segreto. Non a caso– conclude Carlo- da noi i clienti arrivano da ogni parte del mondo. Io sono ottimista: se continuiamo sulla nostra strada, ossia quella della tradizione, il successo è garantito”.